Welfare
Ma poi nessuno laveva ascoltato
Giovanni Paolo II aveva intuito il dramma dei detenuti, e aveva chiesto clemenza, dicono don Spriano e don Trani.
Non solo Regina Coeli. Non solo preghiere, canti e omaggi. La presenza viva e tangibile di Giovanni Paolo II nelle carceri italiane prorompe immediata dalle parole dei cappellani, intermediari diretti di quell?umanità sofferente che è la popolazione dei detenuti e non solo la figura di Giovanni Paolo II, i suoi interventi a favore di un ?gesto di clemenza? per i detenuti ma anche verso la fede cristiana in quanto tale.
Don Luigi Spriano, cappellano del carcere romano di Rebibbia, lo fa capire subito: «Il messaggio che il Papa ha inviato ai detenuti nella sua visita a Regina Coeli nel 2000 in occasione del Giubileo ancora lo meditiamo oggi, a distanza di anni. Perché ci ha detto cose che nessuno ci aveva mai detto prima. La sua forte e ripetuta richiesta di un gesto di clemenza per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario non è stata ascoltata dalla politica ma nel cuore dei detenuti è entrata nel profondo, lo ha fatto stimare e amare». Don Spriano racconta di come, anche a Rebibbia, si stiano vivendo giorni speciali: «Le televisioni, di solito sempre accese sui programmi più disparati, non si ascoltano o vengono tenute a volume bassissimo. Si moltiplicano invece i pensieri, le preghiere, le messe». E la forza del messaggio sulle carceri di Giovanni Paolo II sulle carceri sta, secondo don Spriano, proprio nell?aver saputo affrontare «uno dei problemi più drammatici della vita di chi sta qui dentro, quello del tempo. Nessuno si ritenga signore del tempo del detenuto, ha detto il Papa. Aggiungendo altri due concetti: quello che vede ripercorrere, dentro il carcere, i sentieri della violenza della società, provocando guasti come il sovraffollamento, e quello che è rivolto invece ai detenuti stessi e a chi vigila su di loro, chiedendo di rispettare la loro dignità di persone umane».
Durissimo, invece, è il giudizio sulle non risposte della classe politica: «Hanno steso un velo di pietosa indifferenza sulla richiesta di clemenza avanzata dal Papa e poi si sono rifugiati in una misura modesta e priva di effetti reali, il cosiddetto indultino: il Papa ha cercato di aprire le porte del carcere, loro hanno buttato via la chiave». Per il cappellano di Rebibbia, però, quel messaggio inviato in occasione del Giubileo non fu un atto isolato ed estemporaneo ma «s?incastra in una vera riflessione del Papa sul carcere che, ad esempio in occasione della Giornata della pace, ha detto che i concetti di misericordia e perdono vanno inseriti all?interno dell?amministrazione della giustizia e non devono restare solo patrimonio del pensiero cristiano. Lo stesso cardinal Ruini ha ripreso questo tema, ultimamente».
I detenuti di Rebibbia, peraltro, hanno anche scritto al Papa morente una toccante lettera, il cui contenuto è in sostanza questo: «Da te abbiamo ricevuto molto. Non sei riuscito a ottenere un atto di clemenza ma ci hai dato la forza di affrontare con il sorriso la delusione che ne è seguita. Non usiamo la parola sofferenza perché tu ci hai fatto vedere che cos?è la vera sofferenza».
Anche padre Vittorio Trani, cappellano di Regina Coeli, dove il Papa è stato in occasione del Giubileo, torna sui due più importanti concetti sviluppati in quell?incontro: la valorizzazione, in carcere, del tempo e della vita stessa del detenuto, per evitarne «l?immiserimento nell?ozio» e per facilitarne la rieducazione, attraverso la formazione e il lavoro, «in vista del loro reinserimento nella vita pubblica». Un Papa che commosse per la difficoltà che aveva nel salire i gradini della Rotonda e che volle salutare tutti i detenuti, stringendo loro la mano, «con uno straordinario fuori programma» sono i ricordi più vividi e impressi nella memoria di don Trani, riandando al giorno dell?incontro con i detenuti a Regina Coeli, che in quel carcere sta da 26 anni, «quasi un pontificato?», ci scherza su. Don Trani ricorda anche un?altra eccezionalità, nei testi, quello di un Papa che, nel documento finale sul Giubileo, ha ricordato un solo incontro, tra i tantissimi di quell?Anno Santo, quello con i carcerati di Regina Coeli.
Speranze, appunto, andate deluse quando, dopo la visita in parlamento, i detenuti credevano che il gesto di clemenza così fortemente richiesto dal Papa sarebbe arrivato. «Lo seguirono incollati alla tv, sapevano che non li avrebbe traditi, poi scattò fragoroso l?applauso. Oggi per loro è solo il tempo delle preghiere e delle riflessioni, non delle polemiche, ma hanno creduto a lungo che la politica lo avrebbe ascoltato». Non è stato così e oggi, che anche dalle carceri si prega per la sua anima, la sofferenza è solo doppia.
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